La pietà dell’Idiota di Dostoevskij

L’Idiota è un romanzo di Fëdor Dostoevskij del 1869, composto durante un soggiorno a Firenze. Considerato uno dei massimi capolavori della letteratura russa, vuole rappresentare “un uomo positivamente buono”, un Cristo del XIX secolo. Protagonista del romanzo è il principe Myškin. Nel libro viene detto che il principe personifica la bellezza della perfezione morale.
Il principe Myškin ritorna in Russia dopo un soggiorno in Svizzera, in una clinica dove si era cercato di guarirlo dall’epilessia. Incontra nel suo viaggio Parfën Rogožin, il figlio squattrinato di un ricco mercante morto di recente, e Lebedev, un funzionario. Durante la conversazione salta fuori il nome di Nastas’ja Filippovna, di cui Rogožin è follemente innamorato.
Nel corso del romanzo, il principe Myškin incontra e si innamora anch’egli di Nastas’ja, che si trova ora contesa tra Rogožin e Myškin. Tuttavia Rogožin e Myškin la amano in modo diverso: Rogožin in modo passionale, tant’è che è disposto persino a “comprare” il suo amore con 100.000 rubli, mentre Myškin la ama in maniera più “compassionevole” rifiutando di considerarla come gli altri una donna svergognata. Myškin si offre di sposarla anche senza dote, riconoscendola come una ragazza onesta. Rogožin gli impone di rinunciare a Nastas’ja. Anche Nastas’ja espone al principe i suoi dubbi: è una donna disonorata, e non vuole rovinare un innocente quale è il principe.

Fëdor Dostoevskij

Fëdor Dostoevskij

Myškin presagisce che possa succedere a Nastas’ja qualcosa di tremendo, in quanto Rogožin è passionale al punto di essere impulsivo, e teme che possa finire per farle del male con un suo pugnale. Myškin tuttavia è combattuto, temendo allo stesso tempo che questi pensieri cupi possano essere soltanto frutto della propria malattia, visto che ha ancora attacchi di epilessia. Si incontra con Rogožin e gli espone le sue idee sulla religione e sul Cristo: Myškin e Rogožin si scambiano le croci che portano, diventando così “fratelli”. Alla fine dell’incontro Rogožin abbraccia il principe e gli dice che rinuncia a Nastas’ja a suo favore.
Myškin è combattuto dalle proprie allucinazioni e non sa sempre distinguere i tormenti e i dubbi dalla realtà. E’ combattuto anche dall’amore per Nastas’ja e nonostante l’apparente rinuncia di Rogožin, gli sembra fare un torto a Rogožin prendendo Nastas’ja per sé. E’ in questo contesto che viene fatto un cenno alla compassione come elemento di umanità che Myškin vorrebbe vedere anche nell’amore che Rogožin dichiara nei confronti di Nastas’ja:

Sì, bisognava che adesso fosse tutto messo in chiaro, che tutti leggessero chiaramente nell’anima gli uni degli altri, che non ci fossero più quelle cupe e appassionate rinunce, come quella che aveva fatto Rogožin prima, e tutto doveva avvenire in maniera libera e… chiara. Forse che Rogožin non era in grado di sopportare la luce? Diceva di amarla in maniera diversa, che in lui non c’era compassione, non c’era “nessuna pietà”. A dire il vero aveva poi aggiunto che “la tua pietà, forse, è ancor più forte del mio amore”, ma stava calunniando se stesso. Mmm… Rogožin intento a leggere un libro; non era già questa, forse, “pietà”, non era forse un inizio di pietà? Non era forse la sola presenza di quel libro una dimostrazione del fatto che egli riconosceva pienamente ciò che era in confronto a lei? E il suo racconto di prima? No, era qualcosa di più profondo della semplice passionalità. E il viso di lei ispirava forse soltanto passionalità? Ed era possibile che quel viso ispirasse persino la passione? Ispirava sofferenza, afferrava tutta l’anima quel viso… e un ricordo bruciante e pieno di tormento attraversò d’un tratto il cuore del principe. Sì, pieno di tormento. Ricordò come si fosse tormentato, ancora poco fa, quando per la prima volta aveva notato in lei i segni della follia. Allora aveva provato quasi disperazione.

Principe Myskin

Principe Myskin

E come aveva potuto lasciarla, quando era fuggita da lui per andare da Rogožin? Avrebbe dovuto correrle dietro egli stesso, e non stare ad aspettare notizie. Ma… possibile che Rogožin non avesse ancora notato in lei i segni della follia?… Mmm… Rogožin vedeva in tutto altre ragioni, ragioni passionali! E che folle gelosia! Cosa aveva voluto dire con la sua supposizione di prima? (Il principe arrossì d’un tratto, e gli parve che qualcosa tremasse nel suo cuore.) E del resto, perché ricordare tutto ciò? La follia, in quel caso, era da ambedue le parti. Per lui, il principe, era quasi impensabile pensare che si potesse amare appassionatamente quella donna, sarebbe stata quasi una crudeltà, una cosa disumana. Sì, sì! Rogožin calunniava se stesso; aveva un cuore grandissimo, capace di sofferenza e di compassione. Quando avesse saputo tutta la verità, quando si fosse convinto che quella donna minorata, semipazza, era una povera creatura, non le avrebbe forse perdonato tutto il passato e tutte le proprie sofferenze? Non sarebbe forse diventato per lei un servo, un fratello, un amico, una provvidenza? La compassione avrebbe illuminato e ammaestrato anche Rogožin. La compassione è la più importante e forse l’unica legge di vita di tutta l’umanità. Oh, come si sentiva imperdonabilmente e vergognosamente colpevole davanti a Rogožin!

In verità, Myškin cerca di vedere in Rogožin null’altro che il proprio amore per Nastas’ja che in realtà è solo tenera pietà, ma nella realtà Rogožin non esercita questa compassione nei confronti di Nastas’ja, come si vedrà alla fine del romanzo.


N.B. Una nota sul perché della scelta del quadro del Cristo morto:

Il corpo di Cristo morto nella tomba è un dipinto di Hans Holbein il Giovane del 1521. L’opera ritrae il corpo di Cristo prima della resurrezione. Particolare degno di nota è il fatto che la faccia, le mani e i piedi sono in un primo stadio di putrefazione.

Lo scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij aveva visto questo quadro nel 1867 ad una mostra a Basilea e ne era rimasto fortemente impressionato. Ne L’idiota, uno dei suoi capolavori, il dipinto è più volte citato e discusso dai personaggi del romanzo a cominciare dal principe Myškin che, vedendolo, esclama: “quel quadro potrebbe anche far perdere la fede a qualcuno”.

Nell’enciclica Lumen fidei, Papa Francesco cita quest’opera come spunto di riflessione per contemplare la morte di Cristo e così capire il dono di amore nel mistero della passione.

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